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Recensione di Lorella Paola Betti

Vi suggerisco la lettura di questo bellissimo libro: ”Il Canto dell’Anima” scritto da Alessandra Giuliana Marson, mia collega di psicosintesi e conduttrice insieme a me dei percorsi di ricerca interiore ideati e organizzati dall’Associazione Culturale “Nuova Colmena”. Riporto qui di seguito la recensione che ho scritto su questo libro e che è stata pubblicata sulla Rivista di Psicosintesi Terapeutica – Anno VIII – N. 19 – Marzo 2009 - Vi auguro una buona lettura dell'articolo. 

 

Recensione

Volendo immergere il lettore di questa recensione in modo diretto e sensoriale nell’atmosfera suggestiva e poetica che si respira nelle pagine del libro “Il Canto dell’Anima” di Alessandra Giuliana Marson, – testo che affronta il tema della straordinaria e affascinante esperienza della maternità – non trovo niente di più efficace che trasportarlo per un momento “a teatro”, affinché possa subito assaporare, in una girandola di suoni e immagini, il clima magico e profondo che pervade le righe di questa opera.

 

Tutto ciò allo scopo di evocare l’originalità di un testo ispirato e coinvolgente che, oltre ad essere un trattato teorico-pratico, concepito per favorire nella donna lo sviluppo delle proprie risorse e consonanze materne, è al tempo stesso (con il suo andamento stilistico “musicale” e la sua inusuale struttura che divide le pagine non in “capitoli” ma in “canti”) un vero e proprio “Canto dell’Anima”, – come lo definisce, appunto, l’autrice.

 

Bene, entriamo, quindi, per un momento, nella sala di un teatro …

 

Buio … –  Prima di tutto: “musica” …

 

Un respiro, il battito di un cuore e il suono continuo e rotondo di una “tampura” (1) …  – Poi, pian piano, in ritmica sequenza, iniziano a galleggiare nel nero avvolgenti modulazioni sonore di ampie vocali: lo stupore della “a”; il sorriso luminoso della “e”; la morbidezza tondeggiante della “o”; la pienezza e la grazia delle “i”; l’astrazione e il ritorno alla quiete della “u”… (2)

 

Una voce femminile, carnale e soave, si abbandona ora fiduciosa al suono che libero fluisce al ritmo del cuore/respiro … – Leggera trasforma vocali in emozioni e piano intona un canto … – Un canto antico, eppure ogni volta nuovo, inesauribile nelle sue infinite combinazioni … – Rumore di acque e venti, vellutate correnti, sottili armonie si intrecciano via via sempre più veloci; in segrete simmetrie intessono il sottofondo sonoro del canto e della scena …

 

Poi, ecco, magicamente, nella penombra, il sipario si apre a poco a poco sulla meraviglia della creazione … S’intravede ora, lì, al centro del palcoscenico, un bianco cerchio di luce … - Il cerchio è collegato verso l’alto con una grande stella. Sotto la stella, proprio nel punto centrale del cerchio: un “duale divino”; due esseri in uno: una madre, incinta, con un feto, luminoso, nel suo grembo sonoro-vibrante …

Luce …

 

D’improvviso, piena e splendente, sulla diade al centro della scena …

 

Una luce forte ma allo stesso tempo gentile, evocante tutta la forza dell’unione di una coppia sacra e insieme la sacralità di quell’unione: in silenzio, tra colori e vibrazioni, la madre e il feto si nutrono a vicenda … – Sintonizzandosi l’uno con l’altra, (guizzi, scintille, improvvise sagome di sguardi e carezze riempiono ora l’aria) si inviano segreti segnali e intessono uno struggente, potente dialogo d’amore …

 

Zoom, adesso, sul “grembo”: caldo, prezioso “anathor” di trasformazione; profonda grotta acustica popolata da ancestrali riflessi, voci, echi, nostalgie, memorie …

 

Qui, in questo stesso “luogo/spazio” – (un corpo) – qui, in questo stesso “spazio/tempo” –  (nove mesi d’attesa), ha inizio il “copione”, lo “scambio di battute”, il “dialogo sonoro” tra i due protagonisti della scena; – un “intimo fuoco”, che riscalda e miscela gli elementi, produrrà in fine una nuova e più grande identità per entrambi i personaggi …

 

Ecco, si compie qui, tra le calde, sonore acque di un ventre materno, il “teatro dell’azione” della musica e della sintesi, o meglio: ”l’azione teatrale” della “Musicosintesi”; metodo di lavoro audace ed innovativo ideato dalla Marson che – integrando strumenti di musicoterapia di Benenzon a quelli della psicosintesi di R. Assagioli – accompagna la donna nelle diverse fasi della gravidanza, invitando e stimolando la futura madre a favorire e amplificare la comunicazione e la sintonizzazione con il proprio figlio.

 

L’intervento, quindi, della “Musicosintesi” – magica lente d’ingrandimento puntata su vecchi/nuovi vissuti musicali ed infinite partiture di spartiti esistenziali – si concentra, nelle pagine di questo sentito libro, sul dialogo/relazione tra “madre-nascente” e “figlio-nascente”.

 

Ed è qui, in questo immenso campo libero, fertile e vulnerabile terreno, aperto a luminose risonanze e possibilità creative, ma allo stesso tempo esposto al soffio incerto e freddo di dubbi, ansie e paure, che l’autrice ci invita a leggere ed ascoltare la parabola evolutiva di “due esseri umani” in pieno divenire.

 

La madre, prima ancora di generare il figlio, è impegnata a procreare se stessa, a dilatare la sua identità femminile, al fine di trasformarsi da “creatura” in “forza creatrice”. Per meglio accogliere, “dentro e fuori”, la pulsante vita che contiene in sé, ripercorre la sua “autobiografia musicale” e  – decodificando e sanando antichi suoni/emozioni – si tende sempre più generosamente verso uno spazio “libero e creativo” (per lei e il suo bambino) da riempire di “condivisi” giochi-segni-pensieri-carezze …

 

Il feto, a sua volta, “ascolta” e “risponde” agli stimoli/segnali della madre e  – in un “botta e risposta”, che nonostante sia vecchio quanto il mondo, ancora provoca in chi lo vive un autentico, commosso senso di stupore e meraviglia – cerca spazio, identità, espressione.

 

All’interno del ventre della madre, il figlio si muove, fluttua, circumnaviga, sperimenta se stesso e le sue potenzialità. Sensibile, raffinato ricettore, assorbe ogni “umore materno” e si predispone  – più o meno “benevolmente”, a seconda della  “qualità” degli “umori” che gli giungono – al suo viaggio nella dimensione terrena.

 

Un buon risultato di questo delicato processo alchemico – e cioè: un orientamento sano e positivo verso la futura vita extra-uterina – dipende – afferma l’autrice – dalla relazione che la “madre-nascente” riesce ad instaurare sia con il proprio vissuto materno – memorie sonore di figlia -; sia con le risonanze emotivo-affettive provocate in lei dal feto – nostalgia/desiderio di essere a sua volta madre. In ultimo, ma certo non meno importante, dalla sua capacità di farsi filtro “buono” e “depurante” tra il flusso del mondo, fuori, e il suo bambino, dentro.

 

In definitiva: dalla sua più o meno sviluppata abilità di “proteggerlo”, passando al setaccio dissonanze e veleni esterni e dal suo potere di far percepire al figlio, – riorganizzando in sé conflitti, disagi e ferite in modo nuovo e creativo – la bellezza, il miracolo e l’armonia della vita. Compito della “madre-nascente” – ci invita a riflettere l’autrice – è quello di preparare un terreno “gentile” e “accogliente”, dove i “semi” dell’amore, del coraggio e della fiducia, siano percepiti/piantati nell’inconscio giardino interiore del “figlio-nascente”, come le future “piante” più belle e più vere della sua “verdeggiante” esistenza. Indispensabili, insostituibili “alberi” per una crescita veramente umana, creativa – orientata fin dal suo primo, timido affiorare verso la luce.

 

In fondo, a ben guardare, nella diade “madre-feto” si scorge inesorabilmente una “triade” psichica. Come afferma l’autrice, parafrasando D.N. Stern: (3) qui, il “volo” nella relazione è triplice:

 

la relazione della madre-nascente con la propria madre passata e/o presente;

la relazione che la madre-nascente ha con se stessa e le sue interne parti di “figlia” e “madre”;

la relazione che già dalla gestazione crea con il proprio feto.

 

Tre: il numero della “creazione” …

 

Sostanzialmente, la “neo-madre” deve spostare il centro della sua identità da figlia a madre, da moglie a genitrice, da una generazione all’altra. Ed è questa, a mio avviso, l’emozione più forte che questo libro offre al lettore: la possibilità di immergersi a piene mani nell’universo corporo-sonoro materno, dove batte il ritmo primigenio della vita e di farlo entrare in contatto con la straripante forza creatrice della madre terra. - Aleggiano, infatti, occhieggiando e facendo capolino tra le pagine, – pagine scandite da poesie (alcune scritte di pugno dall’autrice), liriche citazioni e arditi paralleli tra varie teorie della personalità – numinose, archetipiche figure femminili …

Appare Cibele, Magna Mater, dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici … Ecco, possiamo percepirla in “Caterina” (4) – o Marta o Carla o qualsiasi altra donna che si sottoponga a questo percorso creativo – lì, seduta sul trono tra due leoni ruggenti, in un “setting” pieno di vibranti note e strumenti musicali, con in mano un tamburo e con in capo la sua  corona turrita, che batte e batte con vigore la sua primitiva identità …

 

Ora invece, ecco, appaiono Demetra e Kore, duale divino che costituisce un’unica doppia entità, un intero con la sua necessità di mantenersi tale; “Demetra e Kore” appunto, per nove mesi, impensabili l’una senza l’altra, ma anche con il meraviglioso, imminente avvento di separarsi… - Possiamo percepirle agire nuovamente in “Caterina” – o Piera o Claudia o Elena – che adesso dialoga, tra matite colorate e disegni, con queste due parti di sé, con il suo doppio modo femminile d’essere madre e figlia; – madre in quanto coscienza e figlia in quanto istintività.

 

Talvolta prevale Kore che ha paura di non riuscire ad essere nient’altro che Persefone, la donna/moglie incentrata solamente su stessa e i suoi bisogni. Teme profondamente di non essere all’altezza di svolgere bene il suo futuro ruolo di madre. Ora, invece, prevale Demetra. Prima,  – dura e austera, con una fiaccola fiammeggiante in mano, inveisce contro la “figlia” che non riesce ad assumersi nuove responsabilità e a districarsi dalle sue bloccanti paure; – dopo, – ecco, si trasforma invece in un’amorevole, accogliente madre e, con una spiga di grano dorato in pugno, intona una consolante, nostalgica melodia, fertilizzando con generosità la parte insicura e dolente di sua figlia, – creatura perduta, laggiù, in basso.

 

Tutto questo offre la lettura del “Canto dell’Anima”: un viaggio utile ad  ogni donna (non ancora madre o già madre o madre futura o mai madre); comunque “donna” che vuole entrare in contatto con la parte più autentica e profonda di sé. Lettura consigliale, senza ombra di dubbio, anche a tutti i padri, (attuali o futuri o mai padri); comunque “uomini” che desiderano relazionarsi in modo più ampio e consapevole con la propria paternità interiore o esteriore e con l’enigmatico, palpitante universo femminile per meglio integrare in sé questo ricco e perturbante aspetto della loro psiche.

 

Ora, per un attimo, soltanto un attimo, rientriamo in teatro …

 

Ecco, lì, sotto la stella, nel bianco cerchio di luce al centro del palcoscenico, osservando la diade madre-feto che silenziosamente ancora dialoga, non possiamo non percepire quanto questo processo di reciproca crescita sia in fondo simile – o più esattamente: lo stesso in forma sensibile e carnale – a quello del piccolo sé che tra voci, vibrazioni e segni provenienti dall’alto, dal grande Sé, si sintonizza, si indirizza e cresce in lui, – offrendogli a sua volta la possibilità (tramite sé e la sua crescita in lui) di espandersi ed esprimersi …

 

Ormai “nato” il piccolo sé, con gratitudine e amore per chi con tanta pazienza e calore, gli ha conferito questa indicibile, unica e duplice identità, si dilata ora verso l’alto, verso la splendente stella e consapevole di sé e dei suoi confini, magicamente sconfina in lei … - In un armonioso canto si annulla, – nota distinta e irripetibile, all’interno di una cosmica sinfonia …  Così come in principio: “musica” …

 

Ed ancora, musica ...

Lorella Paola Betti

NOTE AL TESTO

(1) La Tampura è uno strumento indiano, usato come bordone fisso d’accompagnamento a strumenti solisti, presente sia nella musica carnatica del sud sia nella musica industana del nord, ricopre un ruolo importantissimo come tappeto armonico in un sistema musicale dove l’armonia è costituita da un bordone fisso della tonica e dal quinto grado della scala; - (2) Leboyer F. Per una nascita senza violenza. Ed. Bompiani. Milano 2002; - (3) Stern D.N. – La costellazione materna. Ed. Boringhieri. Torino 1995; - (4) Nella seconda parte del libro, intitolata “Poema sinfonico”, l’autrice ci guida attraverso la testimonianza di Caterina, all’interno del suo “setting” e ci rende partecipi di un graduale processo di trasformazione di questa “madre-nascente”.

 

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